Qualche ragazzino sabato scorso e
ieri all’allenamento mi ha fatto notare
di essere stato “distratto”, nel corso dell'ultima gara, da alcune voci e comportamenti provenienti da
fuori campo e dall’arbitro. Lo stesso arbitro (che, ricordiamolo, è un papà che
si presta a dar una mano in un ruolo “scomodo” per consentire ai nostri figli
di giocare la partita) a fine gara è venuto da me a scusarsi, poi ho capito
meglio per cosa.
Io di queste cose mi accorgo poco
o niente, perché sono troppo concentrato sui ragazzi, però stanotte ho pensato
che forse è il caso di dire la mia. Mi fido di tutti voi, ma …
Col crescere dei nostri ragazzi
cresce un po’ anche la tensione nell’affrontare le gare. Chi lavora con loro
cerca di aiutarli a gestire
positivamente questa tensione. Per questo motivo ritengo che non si debba
aggiungere tensione dall’esterno, né creare distrazioni e imbarazzi ai ragazzi (e, aggiungerei, anche a qualche spettatore più
tranquillo), né metterli in confusione,
magari dando loro indicazioni su quello che devono fare in campo.
I ragazzi devono rimanere concentrati sul pezzo, è un’orchestra
che fa le prove in settimana e che senso ha che poi l’orchestra si faccia distrarre dal
pubblico durante il concerto?
C'è già qualcuno preposto a dare
eventuali indicazioni. Dico “eventuali”, perché è opinione comune che il
ragazzo, per essere aiutato a maturare, a trovare soluzioni con la propria testa, ad acquisire personalità,
non debba venire “manovrato passivamente” neanche
dall’allenatore. Delle piccole cose che il giocatore fa in campo, buone e
da correggere, l’allenatore ha tempo per parlare e non è per niente detto che
lo debba fare subito.
Inoltre: non forniamo loro modelli di tifo e di comportamenti
“sopra le righe”. Tutti vogliamo che i nostri figli imparino a gestire l’emotività
in modo che nella vita siano sereni, ma se non lo fa per primo il genitore …
I nostri ragazzi hanno bisogno di calore e incitamento (e sono fortunati ad aver famiglie così amorevoli e appassionate come le nostre!), ma gli facciamo del male se insegniamo loro a trovare giustificazioni (“l’arbitro”, “il rigore”, “l’avversario falloso”, "il ruolo sbagliato" …).
I nostri ragazzi hanno bisogno di calore e incitamento (e sono fortunati ad aver famiglie così amorevoli e appassionate come le nostre!), ma gli facciamo del male se insegniamo loro a trovare giustificazioni (“l’arbitro”, “il rigore”, “l’avversario falloso”, "il ruolo sbagliato" …).
Da quattro anni sto cercando di lavorare
sull’atteggiamento positivo da mantenere
anche di fronte alle avversità, persino di fronte alle piccole “ingiustizie”
che accadono fisiologicamente in campo. Sto ripetendo che il giocatore forte non
si ferma a lamentarsi e a deprimersi (compromettendo non solo lo stile, ma anche il suo rendimento e quello della squadra!),
ma si cuce la bocca, si tira su le maniche e ricomincia a macinare impegno e
strada. Nella mia esperienza di calciatore dilettante ho sempre confidato in compagni
e temuto avversari di poche parole e
tanta sostanza. I “lamentini”, quelli che trovano sempre un alibi per i propri
insuccessi, dimostrano invece debolezza. Una massima, fin troppo abusata dai santoni
dello sport, recita: “Un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa.”
E “vincente” lo intendo come chi affronta con serenità
e rinnovato impegno anche le sconfitte.
Per concludere, semplicemente (e lo dico a me per
primo, perché tutti cadiamo in tentazioni di varia entità): tifiamo per
i nostri ragazzi, incoraggiamoli, lasciamo stare tutto quello che è “conflitto”.
Esagero: sarebbe bello esportare un po' del nostro stile, distinguendosi dalla massa e applaudendo per le cose belle che vediamo in campo, anche se provengono dagli avversari.
Esagero: sarebbe bello esportare un po' del nostro stile, distinguendosi dalla massa e applaudendo per le cose belle che vediamo in campo, anche se provengono dagli avversari.
GRAZIE E SCUSATEMI.
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